La prova delle quattro domande

Si riporta di seguito l’intervento del dott. Giovanni Buquicchio, Istruttore del Rotary Club Bari Ovest.

Un Presidente internazionale, qualche anno fa, ben disse che “il Rotary non è un social club in cui fare incontri piacevoli, e non è nemmeno una delle tante organizzazioni di beneficenza. Il Rotary è uno stile di vita, un modo di pensare e una condizione dello spirito. È una voce antica in un secolo nuovo che sprona i rotariani, ovunque essi siano, a mettere in pratica i nostri principi di sempre e trasformare il mondo secondo una visione più equa, più dolce, più compassionevole e più umana”.

In questa prospettiva non mi soffermerò sullo scopo e sulla missione del Rotary (coincidenti principalmente nel servire gli altri), che penso siano noti a tutti noi, ma andrò più subito ai suoi valori fondamentali, che sono servizio, amicizia, diversità, integrità e leadership; e approfondirò in particolare il valore dell’integrità, il quale è collegato alla prova delle quattro domande.

Con integrità onoriamo i nostri impegni e agiamo in base a standard etici; e l’eticismo (argomento di una vastità enciclopedica) è il presupposto della prova delle quattro domande, concepita negli anni trenta del secolo scorso dal rotariano Herbert J. Taylor. Ciò che penso, dico o faccio: 1) risponderà a verità? 2) è giusto per tutti gli interessati? 3) promuoverà buona volontà e migliori rapporti di amicizia? 4) sarà vantaggioso per tutti gli interessati?

Intriga sapere che Taylor era socio del club di Chicago quando nel 1932 venne chiamato a salvare dal fallimento la Aluminium company, presso cui lavorava. All’ uopo occorreva renderla competitiva rispetto alle altre società del settore, che avevano gli stessi requisiti e mezzi finanziari superiori: per cui vi era la necessità di introdurre nella organizzazione della azienda qualcosa che la concorrenza non aveva. Taylor utilizzò il suo bagaglio rotariano per attenzionare la selezione del personale e aiutare tutti i dipendenti della società a essere nel giusto, propugnando un codice deontologico non troppo lungo (solo 24 parole) e facile da memorizzare, un codice che non dava risposte ma poneva domande, e che quindi non doveva dire alle persone cosa dovevano fare, ma interrogarli se ciò che facevano era giusto o sbagliato.

“The 4-way test” (prova delle quattro domande) doveva essere ispirato a valori di verità e giustizia, coincidenti con quelli rotariani di amicizia e solidarietà, e la sua applicazione in tutti i rapporti di affari (con dipendenti, clienti e fornitori) cambiò la politica aziendale verso i competitori, e pure le relazioni di amicizia tra i componenti dell’azienda; e così dopo non molto tempo essa migliorò anche economicamente, e ridiventò florida e prospera.

Si noti che il test non dà risposte, ma pone domande alle quali ciascuno di noi deve rispondere; e le risposte che ognuno dà consentono di migliorarsi continuamente come amici, e anche come cittadini se applichiamo il test non solo nelle relazioni professionali e imprenditoriali, ma pure in quelle familiari e sociali nella comunità in cui viviamo. Taylor sviluppò così la prova come un codice generale, da osservare in tutte le relazioni; ed ebbe tanto successo che il R.I. adottò ufficialmente nel 1943 il codice etico denominato “The 4-way test”.

Ancor prima peraltro era stato sancito altro motto fondamentale del servizio rotariano,” He profit most who serves best” (chi serve meglio profitta di più), che significa che “fa più profitti dai suoi affari chi serve meglio il suo prossimo”: da cui nacque il principio etico del “Service above self” (servire al di sopra del proprio interesse personale). Questi valori determinarono uno scopo etico che mutò il Rotary da associazione di affari al rango di associazione di servizio, e lo elevò al rango morale che oggi lo vede al vertice dell’impegno umanitario.

L’ imperativo “Service above self” è valore cardine del Rotary sin dalla Convention di St. Luis del 1926, ed è frutto di una intuizione di Paul Harrys improntata alla necessità di servire la società impostando la propria attività ad un’etica rivoluzionaria per quei tempi del primo novecento in America, in cui tutto era finalizzato ad ottenere il massimo profitto ed a raggiungere esclusivamente l’interesse personale. Il “service above self” è diventato oggi il motto principale del R.I., ed indica ai rotariani di improntare la propria attività ad un’etica che non privilegi l’interesse personale, ma sia orientata a servire la società.

La filosofia del servizio è espressa successivamente anche nel codice deontologico denominato “Dichiarazione degli operatori economici e dei professionisti del Rotary”, approvata dal Consiglio di legislazione nel 1989.

Altro momento storico del R.I. è stato quando nel giugno 2021 il Consiglio centrale ha adottato il Codice di condotta (deontologico) D.E.I., acronimo di Diversità, Equità e Inclusione: documento fondativo di una cultura che riconosca le diversità e tenda, nell’ equità, ad includerle.

Si tratta di un manuale che contiene la traduzione pratica di principi enunciati nell’ impegno D.E.I. e propone le istruzioni oggettive per seminare e far sviluppare tale cultura con l’esempio. Giacché si può educare con le parole, si può esser più incisivi con quanto si fa, ma è soprattutto dando l’esempio che si sarà efficaci.

Quanto al contenuto, il codice D.E.I., oltre a ribadire i valori che connotano l’essere rotariani, tratta di indicazioni comportamentali concrete: l’uso di un linguaggio rispettoso, l’essere di supporto, il promuovere un ambiente accogliente e inclusivo, il celebrare le diversità, i riferimenti per segnalare il mancato rispetto delle norme di comportamento.

Il programma D.E.I. ci ricorda che noi rotariani dobbiamo comprendere e accogliere le differenze, fornire opportunità eque di successo, e accettare l’altro così com’è. Ciò significa impegnarsi a promuovere valori inclusivi e di solidarietà, un agire etico, e al tempo stesso un fattore di crescita e sviluppo della collettività; con il compito di intervenire positivamente su mancanze e deficienze sociali, per andare incontro ai bisogni dei più disagiati e, più in generale, per far del bene agli altri.

Tornando ai più risalenti principi etici rotariani, affermanti la compatibilità tra gli affari e l’etica, ad un profano potrebbe riuscire di difficile comprensione l’anzidetto motto che fa più profitto dai suoi affari chi serve meglio il suo prossimo, e che, insieme alla prova delle 4 domande, invita all’ uopo a servire perseguendo il vero e il giusto. Si pone pertanto il problema di quali siano i vantaggi dell’operare eticamente nei propri affari, servendo gli altri e non seguendo esclusivamente il proprio profitto, secondo il naturale egoismo individuale. E vi è una corrente di pensiero per la quale l’etica non avrebbe spazio nell’ ambito economico.

Ma oggi in Italia (e nel mondo) si va affermando l’idea della responsabilità sociale dell’impresa (R.S.I.), che implica inevitabilmente il profilo etico dell’impresa, giacché si pone il problema se il profitto debba essere un fine esclusivo dell’impresa nel sistema di libero mercato, oppure se esso possa essere limitato da finalità sociali ed etiche. Nel concreto, il mondo occidentale si sta aprendo sempre di più ad una visione etica della gestione d’ impresa, intesa a contemperare la sfera dell’economico con quella legata al rispetto della persona umana, che dell’economia è destinataria e protagonista: come asseverato pure dall’ Enciclica “Caritas in veritate” di Papa Benedetto XVI, il quale ha valorizzato il crisma dell’imprenditorialità misurandola sul piano umano prima che su quello professionale.

In questa prospettiva le nostre aziende sono sempre più attente alla necessità di contemperare le esigenze del profitto con quelle della responsabilità sociale, anche nell’ interesse di uno sviluppo degli affari durevole nel tempo. Necessità tanto più pregnante quando si tratta di imprese che operano in ambito pubblico, o che si giovano di contributi pubblici, che hanno ancor più il dovere di perseguire scelte operative attente ai profili di sostenibilità sociale.

Il nostro modello economico presenta oggi un importante elemento evolutivo, e cioè la cd. Rivoluzione ESG, sigla di envinonmental (ambiente rispettato), social (sociale responsabile), e governance (buona governance), che si pone sullo stesso piano del profitto cogente. Si tratta di un nuovo modello di sviluppo che si va affermando secondo il criterio che” etica uguale fattore di business”, e quindi di una nuova economia di sostenibilità, basata su libero mercato e strategie ESG, che tende a abbinare competitività ed equità. È in atto una trasformazione socio-economica: istituzioni, grandi aziende, finanza, investitori hanno compreso che non si tratta di una nuova etica soltanto teorica, ma di una grande opportunità di crescita economica, con apertura di nuovi mercati, segmenti di consumo, posti di lavoro, soluzioni finanziarie e di investimento.

Si sta così realizzando la visione di Paul Harris nel secolo scorso, quando affermò che etica e affari devono coesistere, sancendo l’importanza della prima in ogni attività economica funzionale al contrasto alla concorrenza sleale ed alla corruzione; aggiungendo la novità che una corretta condotta è pure remunerativa, in quanto “chi serve meglio ricava maggiore utilità”.

Infatti, le imprese che rispettano i criteri di sostenibilità vanno meglio, creano più lavoro, piacciono di più ai loro clienti e si presentano meno rischiose, e quindi vengono premiate dal mercato, avendo un costo del capitale più basso. Analisi di ricercatori internazionali provano che le aziende che incorporano i criteri ESG sono sensibilizzate ad un ruolo sui temi sociali e ambientali nelle comunità nelle quali impatta la loro azione, non più relegato alla nostalgia di imprenditori illuminati del passato, e sono più orientate al futuro, hanno maggiore resilienza alle crisi, e mostrano maggiori performance.

Non può quindi dirsi che i valori dell’etica non hanno spazio nell’ economia: giacché la prosperità è direttamente proporzionale al rispetto dell’etica, come è dimostrato dalla circostanza che gli Stati con più alto tasso di legalità e con minor livello di corruzione sono quelli economicamente più forti, e viceversa: meno etica, meno risultati economici. Il teologo laico Vito Mancuso ha rilevato che “la giustizia nella conduzione degli affari, che si traduca in rispetto della parola data, puntualità del prodotto, attenzione alla retribuzione dei lavoratori, è una componente essenziale del successo economico”.

Ma non è solo per questo che l’integrità conviene.

Le neuroscienze hanno verificato che in generale essere onesti fa bene al corpo e alla mente, ci aiuta a vivere con più serenità e tranquillità, riduce lo stress e crea un senso di benessere, aiuta a sviluppare forza di carattere e autostima, a guadagnare la fiducia delle altre persone. È ben vero che Giovenale ha detto che “l’onestà è lodata da tutti, ma muore di freddo”. Ma è anche vero che l’onesto generalmente piace, viene cercato, riceve fiducia e responsabilità, nella vita sociale e privata. Egli vive rettamente i rapporti famigliari e amicali, porta le persone a fidarsi di lui, e ad instaurare relazioni sane con gli altri. Sul lavoro consente di realizzare un ambiente migliore, più sereno e costruttivo, ci aiuta pure ad esser più costruttivi. I disonesti possono avere dei vantaggi nel breve periodo, ma a lungo andare è la onestà che viene riconosciuta e che ci fa vivere meglio.

Gli onesti sono quindi generalmente più sani dei disonesti, i quali subiscono tensione, nervosismo, danni fisici, aumento della pressione sanguigna, e quindi stress che li porta a dubitare della loro autostima.

La rettitudine è perciò un valore che ci conviene praticare, perché, come ha detto il filosofo Richard Cumberland, “la virtù in generale paga più del vizio, e cercare il bene comune porta a ricompense di vario ordine”.

Concludendo, l’etica rotariana e le quattro domande di Taylor riassumano il pensiero che il Rotary ha elaborato circa la possibilità di conciliare affari e moralità, additando la convenienza, anche economica, dei comportamenti non orientati esclusivamente al profitto e all’egoismo, ma intesi anche alla solidarietà e all’altruismo. Siffatta consapevolezza contribuirà a sensibilizzare noi rotariani alle finalità del Rotary, facendoci acquisire quel senso di appartenenza che ci porti ad investire nella nostra associazione la nostra professionalità con progettualità utili alla comunità in cui viviamo.

Bari, 6 ottobre 2023.

Giovanni Buquicchio